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~ La justice sans la force est impuissante, la force sans la justice est tyrannique

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Archives de Tag: immigrati

Imprese straniere: Unioncamere, 10mila in più nel 2009

24 lundi Mai 2010

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immigrati, imprenditori, imprese stranieri in italia, unioncamere

La crisi economica non spaventa gli imprenditori stranieri che continuano a essere molto attivi e vitali in Italia. Secondo i dati pubblicati nel Rapporto Unioncamere 2010, aumentano le aziende che fanno capo ad immigrati provenienti da paesi al di fuori dell’Unione europea: nel 2009 ne sono nate 37.645, circa 10mila in più rispetto all’anno precedente. In Italia, dunque, le imprese guidate da stranieri extra-Ue sono ora 251.562, il 4,5% in più rispetto al 2008 (quando la crescita fu però di circa il 7% con oltre 15 mila imprese in più). Le attività predilette da questi imprenditori sono state anche nel 2009 quelle legate al commercio, con 108.575 aziende rilevate, pari a circa il 43% del totale. A seguire le costruzioni (27,7%) e le attività manifatturiere (10%).
La Lombardia resta la regione capofila per concentrazione di imprenditoria immigrata: 45.953 le imprese ospitate, il 18,3%. “E’ però la Toscana – si legge nel rapporto – la regione che ospita il numero più elevato di imprenditori immigrati in proporzione al numeri di imprese individuali residenti: 26.908 su 222.061, in termini relativi il 12,1%”. Per concentrazione di aziende straniere, fanalino di coda la Basilicata. Tra le nuove iscrizioni del 2009, spiccano i 7.327 imprenditori cinesi, quasi mille in più rispetto al 2008, seguiti da quelli marocchini e albanesi. Ma resta l’Africa il serbatoio principale dell’imprenditoria immigrata in Italia. Da non sottovalutare, infine, l’apporto al settore dato dalle donne. Un contributo che il rapporto definisce “significativo”: alla fine del 2009 lo stock di imprese femminili guidate da donne immigrate superava le 49mila unità, il 6,4% in più rispetto al 2008. Dato che appare con segno positivo in tutte le regioni italiane ad esclusione del Friuli Venezia Giulia.

Scarica l’intero rapporto di UNIONCAMERE

Articolo originale

Permesso di soggiorno a punti: come strumentalizzare le necessità

08 lundi Fév 2010

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Alessandra Sciurba, immigrati, lega, Maroni, permesso di soggiorno a punti, razzismo

meltingpot.org
È ormai trascorso più di un anno da quando, con amara ironia, pubblicavamo un articolo intitolato: “Permesso di soggiorno a punti: proposte leghiste per un razzismo creativo”. Avevamo sperato che almeno questa parte del pacchetto sicurezza entrato in vigore nel 2009 fosse stata dimenticata.
Invece no, la Lega non si concede distrazioni quando si tratta di rendere difficoltosa l’esistenza di chi non è italiano di origine, e di alimentare l’aria di apartheid che tira ormai da anni in questo paese. C’era da aspettarsi, effettivamente, che questo Governo, a corto di idee e di capacità di impegnarsi rispetto ai problemi reali di un paese in grande difficoltà economica e sociale, rispolverasse e rendesse attuative queste disposizioni a poche settimane dai fatti di Rosarno e mentre in tutta Italia fervono i preparativi per il primo marzo, “Un giorno senza di noi”.
In cosa consisterà la nuova corsa a ostacoli che si abbatterà sui cittadini di origine straniera verrà definito nei dettagli quando il Consiglio dei Ministri voterà il testo presentato da Maroni e Sacconi, ma i principi ispiratori e i nodi principali sono già stati fissati con sufficiente chiarezza.
Dopo due anni dal suo ingresso in Italia, il cittadino di origine straniere dovrà dare prova della sua avvenuta “intergrazione” attraverso un esame di lingua, una prova di educazione civica (conoscenza della costituzione), la dimostrazione della regolare iscrizione dei figli a scuola, l’esposizione di una fedina penale pulita e persino la mancanza di reati amministrativi particolarmente gravi.
Rispetto alla lingua nazionale è alquanto surreale che proprio il partito che fonda le sue radici sulla teoria della secessione dall’Italia ne faccia requisito primo di permanenza sul territorio. Sarebbe interessante verificare quanti degli elettori della Lega Nord utilizzano abitualmente la lingua italiana al livello A2 proposto come parametro dal decreto, invece che il dialetto stretto delle loro Regioni.
Per quanto riguarda la conoscenza della Costituzione non occorre nemmeno ricordare quanto poco essa venga insegnata nelle scuole e conosciuta dai cittadini perché basta riguardare in rete una recente puntata de “Le Iene” nella quale nessuno dei Senatori e Deputati intervistati (con criterio bipartisan) aveva la più pallida idea di quali fossero i contenuti dei primi tre articoli della Legge fondamentale dello Stato italiano. E cosa dire dei carichi pendenti della maggior parte degli uomini di potere di questo paese?
Gli stranieri, insomma, dovrebbero adeguarsi a un modello di cittadino italiano che non esiste, dovrebbero diventare “più italiani degli italiani”, e dimostrare così la loro sincera voglia di sottomettersi alle regole imposte (solo a loro) dalla società in cui si sono ritrovati a vivere. Non bastava accettare la dequalificazione lavorativa e lo sfruttamento, restare quasi sempre in silenzio rispetto agli insulti e alle violenze, accettare l’esclusione dalla maggior parte dei diritti previsti per i vicini di casa o i colleghi italiani.
Certamente, però, non dovranno farlo a lor spese, aggiungono i Ministri che hanno già tutto predisposto: sarà lo Stato, ad esempio, a pagare i corsi di lingua. Non si sa con quali risorse. Basta fare un giro tra le stanze delle scuole di italiano tenute in piedi in tutta Italia da volontari, spesso all’interno di Centro sociali o comunità cattoliche, per capire come da anni siano questi luoghi a supplire alla mancanza totale di una voce di welfare per i migranti, a fronte di una spesa per le politiche repressive attuate nei loro confronti che viene costantemente incrementata. Sarebbe una novità, quindi, se per una volta dei soldi italiani venissero stanziati per fornire dei servizi a queste persone che nella stragrande maggioranza dei casi pagano contributi e tasse che permettono al nostro Pil di non affondare, senza mai vedersi tornare indietro il minimo vantaggio legittimo (per i migranti ad esempio, non è prevista alcuna forma di pensionamento, indipendentemente da quanti anni abbiano lavorato sul territorio italiano).
Fa rabbia, però, che la prima dichiarazione di intenti rispetto alla costruzione di un welfare che operi in questo senso parta da proposte mosse solo dalla voglia di escludere, invece che di includere o anche soltanto, per usare una parola sempre più ambigua, di “integrare”.
Necessità reali, come ad esempio quella che le madri straniere di bambini nati in Italia riescano a comunicare con i maestri di scuola o con i pediatri, vengono così strumentalizzate per lanciare l’ennesimo messaggio razzista e di “messa alla prova”, la cui volontà di base è evidentemente quella di trovare sempre nuovi modi per accentuare una separazione della popolazione necessaria, oggi più che mai, alla gestione del potere.

Alessandra Sciurba

Manifestazione Nazionale Antirazzista

05 lundi Oct 2009

Posted by Pamoja in Manifestazione

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antirazzismo, clandestini, immigrati, Immigrazione, Manifestazione, migranti, respingimenti, roma

manifesto no fascione

ROMA 17 OTTOBRE 2009
Piazza della Repubblica, ore 14.30

Il 7 ottobre del 1989 centinaia di migliaia di persone scendevano in piazza a Roma per la prima grande manifestazione contro il razzismo. Il 24 agosto dello stesso anno a Villa Literno, in provincia di Caserta, era stato ucciso un rifugiato sudafricano, Jerry Essan Masslo.
A 20 anni di distanza, il razzismo non è stato sconfitto, continua a provocare vittime e viene alimentato dalle politiche del governo Berlusconi. Il pacchetto sicurezza approvato dalla maggioranza di centro destra risponde ad un intento persecutorio, introducendo il reato di “immigrazione clandestina” e un complesso di norme che peggiorano le condizioni di vita dei migranti, ne ledono la dignità umana e i diritti fondamentali.
Questa drammatica situazione sta pericolosamente incoraggiando e legittimando nella società la paura e la violenza nei confronti di ogni diversità.
Intanto, nel canale di Sicilia, ormai diventato un vero e proprio cimitero marino, continuano a morire centinaia di esseri umani che cercano di raggiungere le nostre coste.
E’ il momento di reagire e costruire insieme una grande risposta di lotta e solidarietà per difendere i diritti di tutte e tutti rifiutando ogni forma di discriminazione e per fermare il dilagare del razzismo.
Pertanto facciamo appello a tutte le associazioni laiche e religiose, alle organizzazioni sindacali, sociali e politiche, a tutti i movimenti a ogni persona a scendere in piazza il 17 ottobre per dare vita ad una grande manifestazione popolare in grado di dare voce e visibilità ai migranti e all’Italia che non accetta il razzismo sulla base di queste parole d’ordine׃

• No al razzismo
• Regolarizzazione generalizzata per tutti
• Abrogazione del pacchetto sicurezza
• Accoglienza e diritti per tutti
• No ai respingimenti e agli accordi bilaterali che li prevedono
• Rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro
• Diritto di asilo per rifugiati e profughi
• Chiusura definitiva dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE)
• No alla contrapposizione fra italiani e stranieri nell’accesso ai diritti
• Diritto al lavoro, alla salute, alla casa e all’istruzione per tutte e tutti
• Mantenimento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro
• Contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle persone gay, lesbiche, transgender.
• A fianco di tutti i lavoratori e le lavoratrici in lotta per la difesa del posto di lavoro

Comitato 17 ottobre

Per adesioni: comitatoroma17ottobre@gmail.com

Quando i clandestini eravamo noi e la Romania non voleva gli italiani

21 lundi Sep 2009

Posted by Pamoja in Immigrazione, Storia

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clandestini, immigrati, indesiderati, italiani, migranti, rumeni, Storia

Il ministero dell’Interno nel 1942 cercò di fermare gli espatri a Bucarest dove i nostri connazionali erano malvisti. A Bombay chi aveva a che fare con la prostituzione veniva chiamato « italiano ». Documenti di un’epoca nella quale a varcare le frontiere erano i poveri del nostro Paese, a volte criminali, spesso criminalizzati

di Stefania Parmeggiani

immigratiItaliani

Quando i rumeni eravamo noi… E le cose andavano più o meno come oggi, solo a ruoli invertiti. Gli italiani andavano a Bucarest in cerca di fortuna, per lavorare come falegnami, nelle miniere o nelle fabbriche. Avevano un permesso di soggiorno in tasca, ma alla scadenza restavano oltre confine. Clandestini appunto. Come erano molti rumeni in Italia prima del loro ingresso nell’Unione Europea. Non graditi, come lo sono oggi che vengono guardati con rabbia e sospetto.

A metà del ‘900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti, indisciplinati. La loro storia, fatta di stracci e pregiudizi, si è intrecciata con i tentativi italiani di evitare che gli indesiderabili lasciassero i confini nazionali e andassero a creare problemi alla dittatura amica del generale Ion Antonescu.

Cancellati dalla memoria di un Paese, facile a rovesciare i pregiudizi su altri, i problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo”. Oltre cento documenti, molti gli inediti. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno (Il documento.tif) inviata il 28 agosto 1942 a tutti i questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al Governo della Dalmazia, alla direzione di polizia di Zara e all’alto commissario di Lubiana. Diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania.

Carmine Senise, uno dei partecipanti alla congiura del 25 luglio, l’ uomo che propose di fare arrestare Mussolini a Villa Savoia, fu anche il capo della polizia che stigmatizzò il comportamento dei connazionali: “La legazione in Bucarest segnala che alcuni connazionali, giunti in Romania a titolo temporaneo, non lasciano il Paese alla scadenza del loro permesso di soggiorno provocando inconvenienti con le autorità di polizia romene anche per il contegno non sempre esemplare da loro tenuto e per l’attività non completamente chiara dai predetti svolta”. La situazione lo preoccupava non poco: “Stante il crescente afflusso di connazionali in Romania si dispone che le richieste di espatrio colà vengano vagliate con particolare severità per quanto riguarda in special modo la condotta morale o politica degli interessati ed i motivi addotti, inoltrando a questo Ministero, Ufficio Passaporti, soltanto quelle che rivestano carattere di assoluta e inderogabile necessità”.

D’altronde che tra gli emigrati non ci fossero solo lavoratori in cerca dell’America, ma anche avventurieri con pochi scrupoli è storia risaputa e testimoniata, in questa mostra, da altre missive, denunce e lamentele. La più antica è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”. Un’associazione di idee non certo lusinghiera.

I nostri connazionali, come tutti gli emigranti, non rappresentavano solo un problema di sicurezza, ma anche una risorsa economica, tanto che Mussolini, come testimonia una delle circolari esposte, vietò l’espatrio alla manodopera specializzata. Potevano partire solo operai semplici, braccia che rischiavano di finire nel tritacarne dell’immigrazione clandestina. Che esisteva allora come oggi. La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica, ma anche in altri paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di transito, ma non lasciavano il paese in cui erano solo di passaggio. Altri ancora ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America tramite biglietti inviati, ufficialmente, da parenti e amici. In realtà, una volta dall’altra parte dell’Oceano, ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. Anche questo “racket”, documentato con materiale del 1908 (Ministero degli Esteri pag. 1/2/3.tif), contribuisce all’affresco di un’epoca, non troppo lontana, in cui i rumeni – criminalizzati, non graditi o sfruttati – eravamo noi.

Origine : parma.repubblica.it

A Venezia l’Italia multietnica

05 mercredi Août 2009

Posted by Pamoja in Cultura

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Africa, cinema africano, Cultura, fespaco, festival, good morning aman, immigrati, multietnico, venezia

Cinemafrica.org

Good Morning Aman

Good Morning Aman, film d’esordio di Claudio Noce approda alla 24. Settimana Internazionale della Critica in programma alla prossima Mostra di Venezia. Il film racconta la storia di amicizia tra il giovane Aman (Said Sabrie), un ragazzo italiano di origine somala, e Teodoro, un ex pugile di quaranta anni vittima del suo doloroso passato, interpretato da Valerio Mastandrea, anche coproduttore del film. Sarà proprio l’amicizia che Aman offre a Teodoro a permettere a quest’ultimo di uscire dall’isolamento in cui vive da anni. Da sfondo, una Roma raccontata in modo assolutamente inedito e un’affascinante Anita Caprioli anche lei smarrita, in cerca della sua identità.
Come ha dichiarato il regista: ’’Con Good Morning Aman il mio tentativo è stato quello di mettere in scena una storia sull’identità e l’integrazione scavando nel rapporto di amicizia e solitudine tra due italiani: uno bianco e l’altro nero. Sono molto felice che a un film con un protagonista italiano di origine somala venga data questa opportunità”.
Claudio Noce, nato a Roma nel 1975 ed al suo esordio nel lungometraggio, ha realizzato diversi cortometraggi presentati ed apprezzati a numerosi festival internazionali, fra cui l’intenso Adil e Yousuf presentato alla 64. Mostra di Venezia.
Good Morning Aman, prodotto da Dodo Fiori per la DNC Cinematografica in collaborazione con Rai Cinema e riconosciuto di interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sarà distribuito da Cinecittà Luce.

[Maria Coletti]

Migranti & crisi economica !

04 mardi Août 2009

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crisi, finanziaria, immigrati, recessione

metropolionline

« Prima ero io a mandare i soldi alla mia famiglia in Marocco, mentre adesso sono loro a spedirmeli: l’Italia è finita« . Mohamed Mourattil, 39 anni, sposato con Carla, due bambini piccoli, è il simbolo del quartiere Lido San Tommaso-Tre Archi di Fermo, un enorme rione ordinato, con palazzine ben tenute, i giardinetti, qualche negozio e la spiaggia a due passi, dove la crisi è arrivata investendo la metà degli 872 immigrati che vi abitano stabilmente. Oggi è diventato il quartiere degli disoccupati, dove i padri rimasti senza lavoro nel pomeriggio accompagnano i figli a giocare al parco e si siedono all’ombra a leggere un libro, mentre le mamme, che il lavoro ce l’hanno ancora, tornano a casa la sera. Sono indiani, bangladesi, marocchini, senegalesi, arrivati anche da quindici anni in Italia, con i documenti in regola, alcuni diventati cittadini italiani, gente che ha comprato casa in questo quartiere che, per chi lavora nel settore calzaturiero, è un punto nevralgico per la sua vicinanza ai Comuni più ricchi di aziende: Fermo, Porto Sant’Elpidio e Civitanova Marche. Mohamed lavorava in un calzaturificio di Porto Sant’Elpidio, ha perso il lavoro nel 2006 e non è più riuscito a trovarne un altro. « A volte mi prendevano per un giorno di prova, ma poi non mi chiamavano mai. Non è un buon periodo, mi dicevano », racconta Mohamed. Non sapendo più cosa fare per mantenere la moglie e i bambini e pagare l’affitto, ha iniziato a trascorrere cinque mesi l’anno in Marocco: « Era l’unica cosa che potessi fare — dice — : tornare in Marocco e lavorare nell’agricoltura con mio padre. Dopo cinque mesi, rientravo a Fermo e mi mettevo di nuovo a cercare un impiego ». Ora, quando serve, lavora nel bar del quartiere: « Ma se non trovo un lavoro fisso — conclude — credo che io e mia moglie torneremo per sempre in Marocco« . Omar Khattab due volte alla settimana va nel quartiere dove gestisce la filiale del centro polivalente provinciale degli immigrati di Ascoli Piceno. Prima il suo lavoro consisteva soprattutto nell’assistere gli stranieri nelle procedure burocratiche; ora le cose sono cambiate: « Da quando è arrivata la crisi, mi occupo soprattutto di sfratti, arrivati alle stelle, di vertenze e, negli ultimi mesi, ho seguito anche quattro casi di rimpatrio assistito. Ho visto un ragazzo perdere il lavoro e poi la casa, prendere la macchina e partire per la Francia ». Chi ha un appoggio in un altro Paese Ue, cerca di andare via dall’Italia. Jusef, 43 anni, originario del Marocco, ha perso il lavoro in una fabbrica di Montegranaro e ha fatto domanda per lavorare in un’agenzia di sicurezza a Parigi. « Eravamo venuti qui per cambiare la nostra situazione — dice Jusef — . All’inizio sembrava che andasse bene, qualcuno ha messo su famiglia, ha comprato una casa e una macchina. Ma proprio adesso che avremmo voluto costruire il nostro futuro, cosa succede? Che dobbiamo riiniziare da capo ». Non la rabbia, ma la disperazione è il sentimento più diffuso nel grande quartiere di Fermo, dove le storie cominciano a essere tutte simili: Sing Harmit, indiano, 54 anni, licenziato dopo anni da un’azienda di suole di Porto Recanati, sta pensando di tornare in India; Hamid Mostafa, algerino, 38 anni, che vorrebbe andare in Francia o in Spagna; Hiemon, della Costa d’Avorio, che sta valutando di tornare in Africa. Lei è una delle poche donne del quartiere ad aver lavorato nel settore del calzaturiero. Adesso che ha perso il posto, trascorre le giornate con i figli, li guarda mentre vanno in bicicletta e mentre giocano con la palla insieme agli altri bambini. Sono loro il suo primo pensiero: sono cresciuti in Italia, come si troveranno a vivere in un mondo completamente diverso? « Per un momento abbiamo sognato — dice Hiemon — ma adesso non abbiamo più nulla ».

(paola aurisicchio) (19 luglio 2009)

In vigore dall’8 agosto la legge in materia di sicurezza pubblica

29 mercredi Juil 2009

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immigrati, Maroni, pacchetto sicurezza, rispingimenti

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 5 luglio 2009 n 94

Pubblicata la legge contenente le restrizioni della condizione giuridica degli stranieri. In vigore dall’8 agosto 2009.

La legge 15 luglio 2009, n. 94, recante ’Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’ è stata pubblicata sul supplemento della Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2009.

- [ Scarica ] il testo della legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale

- Leggi il commento alle disposizioni riguardanti i cittadini stranieri

meltingpot.org

Sanzioni internazionali per gli abusi contro i migranti

29 mercredi Juil 2009

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clandestini, immigrati, lega, Maroni, pacchetto sicurezza, rispingimenti

Le conseguenze dei respingimenti

L’ esternalizzazione dei controlli di frontiera, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo e le feroci retate di polizia nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, sempre più una vera e propria caccia all’uomo su commissione dei governi europei, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi.
Il 22 luglio è stato sottoscritto un ulteriore accordo bilaterale tra Italia e Algeria, con la partecipazione del capo della polizia Manganelli, secondo il quale si intende “raggiungere l’obiettivo di rafforzare l’azione di contrasto all’emigrazione clandestina nella tratta di essere umani attraverso il potenziamento della collaborazione bilaterale”. Sono già diverse centinaia i migranti respinti sommariamente in Algeria dopo essere stati salvati dalle autorità italiane.
Se in Sicilia ed a Lampedusa gli “sbarchi” sono drasticamente diminuiti, a partire dal 15 maggio, data di inizio dei pattugliamenti congiunti italo libici, sono oltre mille e cento i migranti, compresi donne e minori, respinti verso la Libia dopo essere stati salvati dalle unità militari italiane anche a poche miglia da Lampedusa(vedi http://www.fortresseurope.blogspot.com). Qui tutte le responsabilità competono alle unita militari italiane ed alla catena di comando che fa capo al ministero dell’interno a Roma.
Proprio sulla base di accordi bilaterali, alle frontiere marittime dell’area Schengen, nei porti dell’Adriatico, in Sicilia, persino in acque internazionali, proseguono i respingimenti collettivi, vietati dal Protocollo n.4 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, verso paesi che praticano ai danni dei migranti “trattamenti inumani e degradanti” vietati dalla stessa Convenzione.

La Libia non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e con i fondi generosamente elargiti dall’Italia e dall’Unione Europea deporta sistematicamente migliaia di migranti verso paesi governati da dittature che, dopo i rimpatri, praticano torture ed arresti arbitrari. Gheddafi sostiene apertamente la dittatura eritrea e Bashir, despota sudanese, responsabile del genocidio in Darfur, condannato dal Tribunale penale internazionale, ma grande amico del colonnello libico, che non perde occasione per dargli copertura e per attaccare lo stesso Tribunale penale internazionale. Ma su tutto questo gli amici italiani di Gheddafi preferiscono tacere, durante gli incontri ormai periodici, ed anche quando lo scomodo ospite ha fatto rientro in patria. Troppo grandi evidentemente gli interessi commerciali dell’Italia nei rapporti con la Libia, per addossare a quel paese una sia pur lieve censura per le violenze inflitte ai migranti.
Nessuno ricorda più che quando il Parlamento approvò nel febbraio di questo anno, con l’appoggio dell’opposizione, la ratifica del Trattato di amicizia italo-libico, un ordine del giorno, votato all’unanimità dall’aula, impegnava il governo italiano ad un costante monitoraggio delle situazione dei migranti e delle violazioni dei diritti umani in Libia.
Oggi il presidente del Consiglio Fini ammette che nessuna attività di monitoraggio nei centri di detenzione libici è stata consentita dal governo di quel paese, secondo il quale in Libia “non esistono” potenziali richiedenti asilo”. Su questo Gheddafi segue le orme di Berlusconi, e di tanti come lui, che negano l’esistenza dei richiedenti asilo, mettono in dubbio che qualcuno abbia proposto una istanza di asilo o ritengono che la richiesta di asilo sia solo un “pretesto” per acquisire comunque uno status di soggiorno legale.
Dopo le denunce delle associazioni e della comunità eritrea, l’Alto Commissariato delle Nazioni  Unite per i rifugiati, ha confermato invece le gravissime violazioni dei diritti fondamentali della persona, in Libia, come in Grecia, a partire dalla continua violazione del  divieto di respingimenti collettivi, dei quali sono in parte corresponsabili, oltre alle unità che agiscono nell’ambito delle operazioni FRONTEX, anche i mezzi della marina militare italiana impegnati nel pattugliamento congiunto delle acque internazionali a sud di Lampedusa.
Il primo luglio sono stati respinti in Libia dalla Marina militare italiana, con la forza e senza le verifiche necessarie, un vero e proprio “respingimento collettivo”, 89 migranti, in maggioranza eritrei, tra cui donne e bambini, intercettati 30 miglia a sud di Lampedusa e raccolti dal pattugliatore Orione, per poi essere trasferiti sulle motovedette libiche.
Nei giorni successivi 82 di quegli immigrati, quasi tutti potenziali richiedenti asilo, rinchiusi nei centri di detenzione libici, sono stati sentiti dai funzionari dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che da Ginevra, ne ha reso note le testimonianze, che confermano quanto denunciato negli ultimi mesi dalle organizzazioni non governative e dai giornalisti indipendenti.
Secondo l’Unhcr « non risulta che le autorità italiane a bordo della nave abbiano cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte né tanto meno le motivazioni che le hanno spinte a fuggire dai propri paesi ». Eppure si trattava di 76 eritrei, di cui 9 donne e almeno 6 bambini, che se fossero stati portati in Italia avrebbero avuto diritto all’accoglienza prevista dalla direttiva comunitaria n. 9 del 2003 e dalla successiva legge di attuazione, come avrebbero avuto diritto ad ottenere il riconoscimento di una forma di protezione internazionale, come previsto dalle direttive comunitarie in materia di qualifiche e di procedure per i richiedenti asilo, direttive che l’Italia ha attuato da ultimo con il decreto legislativo 25 del 2008.
In base alle valutazioni dell’agenzia Onu sulla situazione in Eritrea e da quanto dichiarato dalle stesse persone in questione, è chiaro che un buon numero di coloro che sono stati consegnati alle autorità libiche avevano bisogno di protezione internazionale. Inoltre, i militari italiani avrebbero « usato la forza » durante il trasferimento sulle motovedette libiche, tanto che sei migranti hanno avuto bisogno di cure mediche. Un ennesima macchia sulla bandiera della marina militare italiana che lo scorso anno ha salvato migliaia di naufraghi portandoli a Lampedusa e consentendo loro l’accesso ad una procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato. Una svolta sancita dalle direttive del ministero dell’interno italiano, che ha imposto anche l’avvicendamento di quei comandanti che non si volevano piegare alle pratiche disumane decise dai vertici del Viminale.

Gli arrivi di migranti irregolari in Sicilia continuano, malgrado tutto. E ancora di un respingimento collettivo, vietato dall’art. 4 del Protocollo n.4 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, si è trattato lo scorso 23 luglio a Ragusa quando nove immigrati, ivoriani e indiani, che viaggiavano nascosti a bordo del catamarano Maria Dolores proveniente da Malta, sono stati trovati e identificati dalla guardia costiera, che ha controllato l’imbarcazione al suo arrivo a Pozzallo (Ragusa). I migranti sono stati scoperti dall’equipaggio del catamarano poco prima dell’approdo a Pozzallo. Secondo la stampa “il comandante ha poi avvertito la guardia costiera”. Gli stranieri, ultimate le operazioni di identificazione, hanno fatto rientro a Malta. Non conosciamo per certo quanto si sia trattato di un “rimpatrio” volontario, ma conosciamo la situazione nella quale sono tenuti, anche per anni, i potenziali richiedenti asilo che raggiungono l’isola di Malta.

Se la Libia non aderisce alla Convenzione di Ginevra, la Grecia, paese che appartiene all’Unione Europea, non consente alcuna applicazione della stessa convenzione che pure ha sottoscritto da anni, e sta effettuando in questi giorni vere e proprie deportazioni verso la Turchia e quindi verso l’Afghanistan, malgrado il rappresentante dell UNHCR in Grecia abbia denunciato le “pratiche informali” con le quali questo paese arresta e deporta i migranti, molti dei quali minori, ai quali si nega qualsiasi accesso alla procedura di asilo e si offre come unica soluzione l’internamento e l’espulsione in Turchia e quindi in in Irak o in Afghanistan.
Si è anche appreso che l’UNHCR ha abbandonato le commissioni territoriali preposte in Grecia all’esame delle domande di asilo, dopo l’ennesimo giro di vite delle autorità greche nelle procedure di asilo, sempre più rimesse all’arbitrio delle forze di polizia al punto che appena l’uno per cento delle istanze viene accolto. La Grecia sta violando impunemente tutte le direttive comunitarie in materia di asilo e protezione internazionale, oltre la Convenzione di Ginevra del 1951, senza che la Commissione ed il Consiglio Europeo riescano a sanzionare le gravissime violazioni commesse dalle autorità di quel paese ai danni dei migranti.
Nelle scorse settimane la Grecia, in aperta violazione delle direttive comunitarie in materia di asilo ha promulgato una nuova legge che decentra il processo decisionale relativo alle domande di asilo in prima istanza presso 50 uffici di polizia in tutto il paese. Come denuncia l’Unhcr, la legge abolisce inoltre la commissione d’appello in favore di un riesame da parte del Consiglio di Stato, dove verrebbero considerati solo aspetti giuridici formali e non revisionati eventuali errori di fatto. In questo modo la Grecia non è più un “paese terzo sicuro” verso il quale sia possibile respingere migranti e si colloca al di fuori dell’Europa democratica. Attendiamo che l’Unione Europea apra al più presto una procedura di infrazione nei confronti di Atene per questa gravissima violazione del diritto comunitario.
Malgrado il reiterato richiamo della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che ha ingiunto alla Grecia di NON espellere verso altri paesi alcuni migranti afghani che si trovavano a Patrasso, continuano le deportazioni arbitrarie, soprattutto verso la Turchia, da parte di un paese che sarebbe tenuto a rispettare, oltre alle Convenzioni ONU (compresa quella sui diritti dei minori), le Direttive comunitarie in materia di asilo e di protezione internazionale. Un paese verso il quale l’Italia respinge sistematicamente i migranti potenziali richiedenti asilo giunti nei porti di Venezia, di Ancona, di Bari e di Brindisi.
Le tragiche morti dei tanti ragazzini che per entrare nel nostro paese si erano legati sotto un Tir o si erano rinchiusi in un container sono stati presto dimenticati. Ma gli arrivi in Italia dei migranti in fuga dalla Grecia continuano. Ancora il 23 luglio scorso, quattro immigrati di nazionalità afghana, due dei quali minorenni, sono stati trovati dai carabinieri chiusi in una sorta di ripostiglio all’interno di un tir fermato per un controllo a Vinosa, vicino Taranto. Gli afghani erano in precarie condizioni di salute. Personale del ’118’, intervenuto sul posto, ha riscontrato sindromi di astenia dovuta al viaggio in condizioni disumane a causa del caldo torrido e i quattro sono stati trasportati all’ospedale di Castellaneta per accertamenti. Gli sbarchi clandestini nei porti dell’Adriatico continuano quindi senza che i respingimenti sommari, anche ai danni di minori non accompagnati, riescano ad avere quella efficacia deterrente che vorrebbero attribuirgli i vertici del ministero dell’interno.
Il Ministero dell’interno italiano è giunto persino a negare l’evidenza, i respingimenti alle frontiere portuali in Adriatico, anche quando i suoi uffici periferici diramavano diligentemente veline nelle quali si riportava il numero delle persone respinte con le modalità dei respingimenti collettivi vietati da tutte le convenzioni internazionali.

Quanto sta avvenendo in questi giorni in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e nelle acque internazionali, verso la Libia.

Si scopre così tutta la ipocrisia di chi afferma a parole di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane immobile ad assistere allo scempio del diritto di asilo, e dei corpi che potrebbero invocarne l’applicazione, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse. Del resto, alla fine, il silenzio omertoso della stampa aiuta a cancellare la gravità dei fatti, e gli italiani continuano a farsi condizionare dal ricatto che solo queste violenze ai danni dei migranti ed i respingimenti in mare, sempre più disumani, potrebbero garantire loro in futuro una qualche “sicurezza”. Una sicurezza pagata con i corpi e con le vite spezzate dei migranti respinti, o reclusi in centri di raccolta che evocano gli orrori del nazismo,, una politica della “sicurezza” che potrebbe diventare in futuro un autentico boomerang, quando l’arbitrio di stato si rivolgerà non più contro i migranti ma contro gli stessi cittadini. E le prime avvisaglie si colgono già nell’ultimo pacchetto sicurezza, con le norme che riguardano i senza fissa dimora, quale che sia la loro nazionalità. Le responsabilità di questo imbarbarimento delle regole dei controlli di frontiera, di un vero e proprio superamento dello stato di diritto, sono molteplici e vengono da lontano, a partire dalle scelte proibizioniste dei paesi che negano ai migranti qualsiasi possibilità di accesso legale e dalla creazione nel 2004 dell’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne europee FRONTEX.

Da ultimo dietro la riscoperta della “cooperazione pratica” delle forze di polizia per respingere i migranti, si è fatto ampio ricorso ad accordi bilaterali che hanno “forzato” quanto previsto dalle direttive comunitarie sulle procedure di asilo e sulle qualifiche di rifugiato, per riuscire ad espellere o a respingere qualche centinaio di migranti.
Si riscontra ancora una volta l’incapacità dell’Europa di darsi una politica dell’asilo, limitandosi a legittimare la cd. “cooperazione pratica” tra i vari paesi sulla base di accordi bilaterali, una cooperazione operativa che dà copertura agli abusi delle polizie di frontiera, permette intese e prassi concordate a livello di comandi militari che violano le convenzioni internazionali ed i trattati comunitari, e rende impossibile persino visitare i migranti trattenuti in stato di detenzione amministrativa e di fare valere i diritti di difesa. Per quanto risulta non sembra che dalla Libia sia stato ancora possibile presentare un solo ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Mentre la magistratura italiana assiste inerte agli abusi che sono compiuti dalle autorità militari italiane alle frontiere portuali e nei respingimenti in acque internazionali, occorre aumentare ancora gli sforzi di denuncia alle corti internazionali delle gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle persone, violazioni quotidiane che stanno dietro la pratica dei “respingimenti informali”. Ed è sempre più necessario creare canali di comunicazione diretta e reti di solidarietà per fornire ascolto ed assistenza, per restituire una identità ai migranti sequestrati o dispersi dalla polizia, per sostenere le famiglie delle vittime, per garantire il rispetto della dignità e dei diritti della persona, a tutti coloro che sono allontanati violentemente dalle frontiere europee o che vengono bloccati e internati nei paesi di transito.

di Fulvio Vassallo Paleologo

GLI ITALIANI SONO RAZZISTI? FORSE NO, FORSE SI

19 dimanche Juil 2009

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immigrati, razzismo, stranieri, toleranza

di Cleophas Adrien Dioma

Negro, nero, ragazzo di colore. Parole. Mi piacciono molto le parole. Perché vogliono dire tutto e qualche volta niente. Perché partono dalle nostre teste e finiscono nelle teste di altre persone. Perché ci definiscono e ci permettono di capire o forse di non capire certe cose. Perché ci permettono qualche volta di comunicare. Sono quasi undici anni che sono in Italia e mi rendo conto che la parola sia importante. Parlare con la gente, ascoltare, leggere testi, giornali, libri. Porsi delle domande. Vivere la quotidianità. In questi undici anni non ho mai vissuto veramente episodi di razzismo. Qualche momento particolare anche un po´ difficile. Tensioni. Razzismo, mai. Non mi sono mai posto la domanda se l´Italia era legata alla parola razzismo. Se l´Italia era un paese razzista. C´erano, ci sono delle persone razziste. Delle persone che non vogliono accettare l´esistenza e la presenza di persone altre. Di persone diverse. Ma cosa normale, vero? Forse anche giusta. Sarebbe bello trovare un paese perfetto, con della gente perfetta, tranquilla, felice, non razzista. Ma i paesi sono per fortuna fatti di persone, uomini, donne, persone che scelgono da che parte stare. Con chi stare e con chi parlare. Persone che decidono di accogliere o di rifiutare. Poi ogni tanto anch´io mi sono comportato da razzista. Ho rifiutato di comunicare, di parlare con certe persone. Di incontrare. Ho giudicato anche e solo sulla base di criteri che partivano dal mio punto di vista e che non avevano forse niente a che vedere con la realtà. Per fortuna sono una persona. Uso parole. Parlo. Mi sbaglio. Sono. Undici anni in Italia vivendo con la gente. Parlando. Cercando di partecipare. Di comunicare. Di essere. Io sono. In questi anni mi sono sempre posto una domanda semplice: come faccio ad essere Cleo e non legato a delle parole che per me non avevano niente a che vedere con quello che sono. Quello che pensavo di essere. Quello che volevo essere. Io. Allora davanti a parole come nero, negro o ragazzo di colore non mi offendevo ma non ero d´accordo. Non sono nero, non mi sento un negro e non so a cosa si riferisce la parola di colore. Ma per me non erano parole razziste. Era forse un tentativo di definire delle persone. Di semplificare. L´uomo ha qualche volta voglia di semplificare. Di codificare. Questo è bianco, questo è giallo, questo rosso e questo è nero. I bianchi sono veramente bianchi? I neri, neri? Guardo sempre i ragazzi cinesi che vengono nel centro aggregativo dove lavoro e cerco il colore giallo. Allora la domanda perché non possiamo lasciare la possibilità alle persone di autodefinirsi? Di dire io mi sento blu. Si sono blu. Tutta questa divagazione per portare ad un fatto che mi è capito da poco e che mi ha fatto riflettere. Ero sulla strada che si chiama Repubblica. Sulla mia bici. Alla rotonda aspetto che passano le macchine prima di attraversare la strada. Quando si libera comincio l´attraversamento non rendendomi conto dell´arrivo di una persona in motorino. Per un pelo non mi ha preso. Pedalando veloce sono riuscito ad arrivare dall´altra parte della strada. Arrivato, sento dietro questa parola  ad alta voce: “negro”. Mi giro e vedo questa persona, sul suo motorino che stava per ammazzarmi gridare questa parola e non fermarsi, non guardarmi. Cosi. Negro. Era difficile per me in quel momento pensare che era solo una parola. Una parola buttata cosi. Senza senso, senza ragione. No, mi sono posto questa domanda: cos´è cambiato? Io, la mia percezione della realtà italiana o l´Italia. Forse sono cambiato, forse la situazione di tutti giorni mi porta a vedere le cose diversamente. Ad essere meno tollerante. Più sofferente. Forse ho l´impressione di avere dato abbastanza a questo paese per meritarmi certi trattamenti. Forse non sento neanche più il desiderio di lottare per entrare nei meccanismi di una città, di un paese che fa di tutto per rifiutarmi. Forse sono stanco di essere un eterno “straniero” malgrado tutto il tempo passato qui. E poi credo che sia cambiata l´Italia. La mia Italia è meno tollerante. Meno accogliente. Più aggressiva nei confronti degli altri, dei diversi. E credo che dobbiamo iniziare a lavorare sulle parole. Sul senso che diamo alle parole. Su come viviamo la parola. Ho dunque deciso di offendermi quando mi chiamano nero, negro o ragazzo di colore. Quando dicono che sono straniero, quando mi chiamano extracomunitario. Otto anni fa, quando sono tornato in Burkina Faso, mio padre mi aveva chiesto se gli italiani erano razzisti. Ho risposto, no. Qualche problema c’era, razzismo no. Adesso se me lo dovesse chiedere ancora, non saprei cosa rispondere.

Parma e i concittadini immigrati: tra l’indifferenza e la cultura dei diritti.

07 mardi Juil 2009

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cinema d'azeglio, festa multiculturale, immigrati, Integrazione, pacchetto sicurezza, parma

Evento8Luglio

Che si terrà mercoledì 8 luglio – ore 21,00 all’Arena estiva del Cinema d’Azeglio

Ci sembra infatti molto importante trovare un momento per riflettere insieme, con l’aiuto di persone qualificate, sulla nostra idea concreta di cittadinanza, diritti e accoglienza.

E’ sempre più urgente che la nostra riflessione su questi temi si allarghi al territorio, sappia rendersi visibile, coinvolga altre persone.

Tutto ormai passa, all’interno dell’opinione pubblica, come necessario in nome della nostra sicurezza. Qualsiasi presa di posizione, atto amministrativo o legislativo, comportamento singolo o istituzionale. Dobbiamo riflettere ed agire rispetto a questo, costruendo reti di solidarietà ma anche di consapevolezza e di pratica associativa.

L’incontro vuole essere un contributo a questo percorso.

Il programma è il seguente:

Proiezione del video:

“Il mio nome è Emmanuel”, Un mondo a colori, Rai educational

Partecipano alla discussione:

Andrea Tinari giornalista “Un Mondo a Colori” – Rai

Paolo Bertoletti segretario generale CGIL Parma

Luca Ponzi giornalista Rai

Armando Orlando giornalista Polis

Emilio Rossi presidente Ciac

Conduce:

Vincenza Pellegrino, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati – Trieste

Vi allego il volantino chiedendovi di dare la massima diffusione possibile.

molte grazie

Per il progetto Parma Multiculturale

Giacomo Truffelli

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